Tra una settimana a Mirafiori si svolgerà il referendum per verificare il consenso dei lavoratori all’accordo firmato dalla FIAT e dai sindacati presenti nell’azienda, ad eccezione della Fiom, il sindacato più rappresentativo dei metalmeccanici.
Si tratta di uno strano referendum. Di norma infatti il referendum viene richiesto dalle organizzazioni sindacali con l’intesa che, qualora il risultato fosse negativo, le parti si impegnerebbero a riaprire la trattativa, permettendo così ai lavoratori di esercitare un’influenza reale sulle proprie condizioni contrattuali.
In questo caso, invece, è la FIAT che richiede il referendum e il suo amministratore delegato Marchionne dichiara che, se dovesse vincere il no, l’accordo non sarebbe più valido e la FIAT investirebbe altrove.
Il referendum dunque non è più uno strumento di partecipazione dei lavoratori alle scelte aziendali ma diviene un mezzo di pressione per ottenere, con una pratica di falsa democrazia, il consenso ai piani che l’impresa definisce autonomamente.
Ancora una volta la Fiom si carica sulle spalle la responsabilità di difendere le regole democratiche in questo Paese, lo fa sottoponendosi a critiche che gli provengono non solo dalla dirigenza della Fiat, ma anche e soprattutto dalle altre sigle sindacali, da parte della stessa CGIL, da molte forze politiche. Una lotta per la democrazia che non è una semplice tutela dei diritti di una parte di lavoratori, quelli metalmeccanici, ma una lotta che tenta di mettere un argine allo straripante tentativo di annullare molti dei diritti ottenuti dai lavoratori e che pregiudicheranno la qualità della vita dei lavoratori stessi, anche in termini di sicurezza.
Solo, pochi mesi fa, a Pomigliano, la Fiat con Marchionne riuscì a strappare ai lavoratori un SI sul referendum, che in realtà era un vero e proprio ricatto occupazionale. Sul tavolo nuovi investimenti in cambio dell’eliminazione di alcuni diritti fondamentali.
Passano solo pochi mesi e il metodo Marchionne riappare con tutta la sua drammaticità, e con una maggiore veemenza. Ora anche Mirafiori si trova a fare i conti con il terribile ricatto occupazionale:
“ volete lavorare o volete che trasferiamo la produzione delle auto all’estero?”. Stavolta se possibile le condizioni sono peggiori di Pomigliano, stavolta si stravolgono le regole contrattuali, si escludono dalle trattative aziendali le sigle sindacali (FIOM) che non firmano gli accordi.
Sembrerebbe un problema esclusivo dei lavoratori del settore metalmeccanico, dei lavoratori della Fiat, ma non è così. Questi attacchi frontali da parte della maggiore azienda industriale del Paese, aprono la strada ad ulteriori limitazioni dei diritti anche negli altri settori.
I lavoratori delle piccole imprese, quelle del commercio ad esempio, quelli meno tutelati sindacalmente pagheranno un prezzo molto alto per lo sdoganamento messo in atto da Marchionne, con l’approvazione di questo Governo e purtroppo della quasi totalità delle forze politiche e sindacali.
L’Italia dopo il berlusconismo ora si appresta a vivere e subire il marchionnismo.
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