Di
un grand’uomo si dice che dietro di lui vi sia sempre una donna. Ma questa
affermazione va stretta a Franca Rame, che al suo grand’uomo – a Dario Fo - fu
semmai al fianco: raramente dietro, a volte addirittura davanti, come ogni
volta che l’impegno politico li portava a fare i conti con la battaglia per la
dignità e la libertà stessa delle donne. Battaglia per la quale Franca pagò
personalmente un prezzo assai alto, a tutta riprova – se mai ve ne fosse stato
bisogno – di quanto l’oppressione maschilista coincidesse con l’inciviltà di
una posizione politica indegna non solo dei nostri tempi, ma della natura
stessa dell’umanità.
Dario
e Franca li ho conosciuti sul finire degli anni ’50 del secolo (e del millennio)
ultimo scorso. Lui era già quel che poi sarebbe apparso agli occhi di tutti;
lei era bellissima!
Sul
palcoscenico si stava adattando ai ritmi di lui, a volte forse arrancando un
poco, e dando il meglio di sè nei monologhi, intesi come libera chiacchierata
col prossimo suo; ma era evidente l’influenza
che essa esercitava su Dario, nei momenti creativi, fino a quel
capolavoro che è “La signora è da buttare”, (del 1967), dove il finale del
primo tempo, poeticamente allusivo dell’omicidio di Kennedy, vedeva lei,
Franca, abbandonare il corpo a un trapezio che entrava in scena come un pendolo
senza vita, in un impressionante,
assillante, assordante silenzio. Dovessi scegliere, dalla mia lunga esperienza
di spettatore, le cinque immagini più folgoranti, questa sarebbe certo una di
quelle.
Franca
ora se ne è andata, e io cerco di mascherare sotto queste
parole di razionale analisi, l’emozione che mi coglie.
Ricordo
quando tutti e due sbatterono la porta della RAI, dopo le censure a
Canzonissima, e si esiliarono da quella che era una grande fonte di popolarità
e di benessere. Ebbene, oggi che la
storia li ha consacrati, insigniti di quel prestigioso riconoscimento che è il
Nobel (dico “insigniti”, al plurale pour
cause), può essere facile trincerarsi dietro il detto che “tutto è bene
quel che finisce bene”.
Ma
al momento, quell’andarsene fu un atto di coraggio che poteva anche essere un
suicidio sotto molti profili: solo che Dario e Franca avevano una “fede”, e che
questa li sorresse e alla fine li fece vincere.
Ancora
potrei dire di come fu Franca – a quanto mi è dato sapere – a consigliare
l’atteggiamento da assumere alla consegna del Nobel: quando Dario – giustamente
pago di quella motivazione che esaltava la sua (e di Franca) indipendenza di
fronte al potere – si adattò con estrema eleganza al cerimoniale di rito, con
quel suo sorriso impercettibilmente beffardo, e i suoi accennati inchini ai
vari angoli del mondo. Dietro questo, lei: che da Milano era volata a
Stoccolma, sospendendo per un giorno il suo spettacolo con Giorgio Albertazzi,
presente con pieno merito – anche se, stavolta sì: un passo indietro! – a
quella sorta di incoronazione.
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