Sinistra e Libertà “è in campo, per assumersi una responsabilità che fa tremare le gambe, come soggetto che punta a cambiare questo centrosinistra e creare un cantiere che possa tenere assieme la cultura di centro con quella di sinistra”. Ma ciò deve avvenire “senza veti, perchè io non li pongo, ma non li subisco. E nessuno può pensare di avere lo scettro”. Nichi Vendola lancia dal palco del pala Tendastrisce il manifesto programmatico e politico del suo movimento, ma anche la sua sfida al Partito Democratico.
A cominciare dalle primarie “che non sono un capriccio ma sono forma e sostanza di una nuova stagione”. Vendola chiarisce subito di esser disponibile a dialogare, ma fissa una serie di paletti che considera ineludibili: “La crisi che abbiamo davanti non è solo economica, ma è una crisi di democrazia nel presente e una crisi sociale che esploderà”. Dunque, la ricetta che deve essere proposta dalla sinistra non può essere quella liberista, “perchè il liberismo non è la medicina, ma è la malattia”.
Ed ecco perchè, ripete, se pure è pensabile una grande coalizione di forze in chiave anti-berlusconiana che va da Sel a Fini, “non sarebbe pensabile un governo di legislatura che abbia dentro Sel e anche Andrea Ronchi, che da ministro firmò il decreto sulla privatizzazione dell’acqua”. Una soluzione del genere, aggiunge, può avere l’orizzonte limitato di cambiare la legge elettorale o fare una legge sul conflitto d’interessi, ma “sarebbe strategicamente e tatticamente perdente”. No a Mario Monti, dunque, o a Luca di Montezemolo, la sinistra è altro, deve tornare ad avere un orizzonte più ampio. “Compagno Bersani – dice – possibile che levare gli occhi verso un orizzonte più ampio significa dedicarsi alla poesia..?”.
Il leader di Sel usa parole care al suo popolo: rivendica il ritorno del pubblico nell’economia, nell’istruzione e nella sanità, dice che “ci vuole una grande sinistra per sentirsi veramente fratelli dei giovani del Cairo e di Tripoli”, sostiene che “la vita è più agra oggi perchè la nostra Costituzione è stata depotenziata”, difende il sindacato, “perchè indebolirlo significa indebolire la vita democratica e rendere più pigro il sistema delle imprese”, urla un secco ‘no’ al nucleare perchè “il futuro è dell’energia alternativa”.
Contesta con parole durissime gli allarmi sugli sbarchi di clandestini, lanciati dagli esponenti del centrodestra, chiamamandoli “barbari amici di dittatori e mafiosi che non hanno rispetto per la vita umana e per chi fugge dalla fame e dalla guerra”.
E critica la politica economica del governo che “ha introdotto la più pesante patrimoniale sui poveri e i deboli”, intaccando l’articolo 41 della Costituzione che invece è “una scultura sacra”.
I toni sono altrettanto forti nei confronti di Berlusconi, a partire dal legame del premier con Gheddafi (“è stato l’ultimo a condannarlo, e lo ha fatto con voce tremante”) fino alla scuola pubblica dopo l’attacco di ieri. “Un paese deve investire nella scuola pubblica perchè è il cuore della crescita economica: e sono stati 15 anni di tv berlusconiane e di crisi della scuola a creare una generazione narcotizzata dal trash e dalla pornocrazia”.
Ma anche sullo scandalo Ruby, perchè “bisogna avere a cuore il destino dei coetanei di quella ragazza che non possono vedere il marciapiede o palazzo Grazioli come orizzonte della loro realizzazione personale”.
Sinistra e Libertà è in campo, scandisce Vendola mettendo in guardia i suoi e spiegando sibillinamente che “le provocazioni continueranno”. Il governatore pugliese lascia quasi intendere di poter fare un passo indietro quando sottolinea che “il leaderismo è una malattia se comporta una delega in bianco: se anche questo leader che parla vi si ritirasse dalla scena, queste parole resterebbero come un patrimonio collettivo”.
Ai cronisti che dietro il palco gli chiederanno una spiegazione, Vendola chiarirà che non ha nessuna intenzione di farsi da parte e che il suo messaggio era riferito a coloro che, anche dentro al Pd, lo hanno accusato di eccesso di protagonismo o di essere un fenomeno mediatico. Tema sviscerato anche dal palco, quando Vendola prende le distanze dal ‘grillismo’, e rivendica la sua “diversità cuturale da chi popola il teatrino televisivo delle anime belle”.
Gli ultimi passaggi del discorso di Vendola sono parole d’ordine rivolte alla platea che lo applaude a lungo, poco prima che dagli altoparlanti si diffondano le note di ‘Bella Ciao’: “rifare la sinistra è possibile, non bisogna cedere sulla nostra identità ma non dobbiamo avere paura di aprirci”.
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