martedì 25 ottobre 2011

PENSIONI: LA SOLITA VITTIMA SACRIFICALE

Sono ore decisive per la sopravvivenza di questo governo e per la durata della legislatura.
C’è chi sostiene che questa volta siamo allo scontro finale, altri che Berlusconi la “sfangherà” ancora una volta. Pur avendo, come tutti, un’opinione prevalente al riguardo non è qui importante giocare alle scommesse. Soprattutto perché l’argomento sul quale si è attorcigliato il dibattito rimarrà anche per chi verrà dopo, qualunque sia la data delle elezioni e a maggiore ragione se si dovesse andare verso una sorta di governo istituzionale di transizione, ovvero del Presidente (nel senso di Napolitano). Le mosse del Presidente della repubblica sembrano finora andare tutte in questa direzione.
L’attenzione di tutti è stata attratta dai risolini di compatimento del duo Sarkozy-Merkel – chi per gioirne, chi per indignarsi preparando la piazzata davanti all’ambasciata francese a Piazza Farnese – e troppo poco ci si è soffermati sulla dichiarazione immediatamente susseguente del presidente francese, il quale ha aggirato la domanda sulla affidabilità di Berlusconi ed ha risposto dichiarando la propria fiducia sull’insieme della classe dirigente e delle istituzioni del nostro paese. Un segnale più chiaro di così non poteva essere dato, almeno in quella sede.

Il pomo della discordia sono dunque le pensioni. Che l’attuale dirigenza europea non abbia in
simpatia il sistema pensionistico del nostro paese è fuori di dubbio. E’ vero – come hanno rilevato alcuni commentatori – che il commissario europeo Olli Rehn ha insistito su un complesso di iniziative che l’Italia dovrebbe fare, fra le quali la riforma della giustizia e del mercato del lavoro, ma è soprattutto vero che nella famigerata lettera della Bce del 5 agosto – che gli indignados di casa nostra vogliono giustamente rispedire al mittente – l’intervento sulle pensioni è raccomandato esplicitamente. Conviene riportare il passo preciso, visto che in dibattito televisivo cui ho partecipato, il segretario della Uil Angeletti ha sostenuto il contrario.
I firmatari, ovvero il presidente uscente e quello subentrante della Bce, Jean-Claude Trichet e Mario Draghi, raccomandano al governo italiano di “intervenire ulteriormente nel sistema pensionistico, rendendo più rigorosi i criteri di idoneità per le pensioni di anzianità e riportando l’età del ritiro delle donne nel settore privato rapidamente in linea con quella stabilita per il settore pubblico, così ottenendo dei risparmi già nel 2012”. Non contenti di ciò i due autorevoli banchieri sostengono anche che “il Governo dovrebbe valutare una riduzione significativa dei costi del pubblico impiego, rafforzando le regole per il turnover e, se necessario, riducendo gli stipendi”. La ricetta greca, appunto.

Qui c’è ben poco da traccheggiare. O si dice un no netto alla Bce, o la strada della sparizione dell’istituto delle pensioni di anzianità, per giunta in modo accelerato, è già spianata.
Ad essa seguirà a ruota la trasformazione dell’attuale blocco di fatto degli aumenti retributivi nel pubblico impiego con la loro riduzione. Ovvero lo stato sociale viene colpito sul versante della prestazioni che esso dovrebbe offrire ai cittadini e contemporaneamente sul terreno dell’occupazione del personale addetto alla fornitura di quelle prestazioni.

Il carattere squisitamente politico e niente affatto oggettivo di una simile manovra è evidenziato dalle stesse cifre che il nucleo di valutazione sulla spesa pensionistica ci fornisce. Le ultime note riguardano il 2009 e ci parlano di un sistema pensionistico pubblico tutt’altro che in dissesto, qualora si separi, come è giusto fare persino per legge, la spesa propriamente previdenziale da quella assistenziale. Infatti le entrate contributive superano le prestazioni pensionistiche al netto delle ritenute d’acconto, quindi quelle effettivamente erogate, di ben 27,6 miliardi di euro, pari a circa l’1,8% del Pil. In altre parole è il sistema pensionistico basato sul pagamento dei contributi che sta mantenendo lo Stato e non viceversa.

D’altro canto l’allungamento dell’età pensionabile è già in atto con il meccanismo automatico di adeguamento alle aspettative di vita. Solo che la Ue e il governo lo vorrebbero affrettare. La speranza di fare cassa per questa strada è comunque assai discutibile, poiché si basa sul presupposto che tutti vogliano andare in pensione il più presto possibile. Il che non è, come dimostrano le statistiche, anche perché il basso livello delle rendite pensionistiche – altro tipico problema italiano – sconsiglia abbandoni del lavoro, per chi ce l’ha. Ovviamente se si minaccia una controriforma ogni due minuti, la gente appena può se ne va in pensione, creando così il più classico e autolesionista dei circoli viziosi.

Intanto circola in queste ore un brogliaccio che vorrebbe essere l’anticipazione del prossimo provvedimento del governo, il cui cuore dovrebbe essere un nuovo condono. Dal 1973 ad oggi, di condoni ce ne sono stai ben 17, senza contare lo scudo fiscale. Secondo la valutazione più generosa data da alcuni centri studi padronali, essi hanno fruttato in tutto 104 miliardi di euro, secondo altri molto, molto meno. In ogni caso si tratterebbe di cifre comunque inferiori alla stima di quanto in un solo anno l’evasione fiscale (120 miliardi) sottrae all’erario. La prova del fallimento della politica dei condoni è più evidente di una pistola fumante.

Come è noto, dal Terzo polo arrivano invece incoraggiamenti al governo a proseguire sulla strada dell’intervento pensionistico. Questo la dovrebbe dire lunga sulla impraticabilità di un’alleanza elettorale tra le forze del centrosinistra e quelle di Casini e Fini. Ma anche nel Pd le opinioni sono diverse e contrastanti. Né può nascondersi dietro il giochino di dire “prima se ne vada Berlusconi e poi si vedrà”.
Il nodo delle pensioni, infatti, più che un pretesto è la punta di un iceberg che segnala un problema assai più grande.
Se si accetta o no la politica rigorista voluta dall’attuale dirigenza europea.
Se la questione del deficit e del debito devono diventare i vincoli inviolabili di qualunque politica economica.
Se si punta su una tassazione patrimoniale sopra una certa soglia di reddito, sulla lotta all’evasione fiscale o sull’abbattimento delle pensioni, delle retribuzioni e l’occupazione nel settore privato come in quello pubblico.
Alfonso Gianni


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