Duecentomila a Roma, centomila a Milano e Torino, cinquantamila a Napoli, trentamila a Firenze, ventimila a Palermo, duemila persino a Bergamo. Almeno un milione, forse di più, non ha importanza. Importa l'immenso, forse inaspettato successo, il risveglio improvviso di chi sembrava rassegnato al silenzio.
Più di 230 piazze sono state invase domenica 13 febbraio da un fortissimo desiderio di riconoscimento collettivo, ben sapendo che la voglia di voltar pagina non si esaurisce nell’andare ad una manifestazione.
Città invase perché certa politica svaluta la forza delle donne, fa spreco della loro intelligenza, si priva della loro “grandezza”.
Città invase perché le donne sono ovunque. Nei luoghi dei conflitti reali di tutti i giorni: mercato del lavoro, luoghi del sapere, dell’informazione, partiti politici. Donne che non si sentono più seconde, malgrado i tanti ostacoli che ne rendono difficile la propria autorealizzazione, malgrado l’uso debordante dell’immagine del corpo femminile per il mercato, malgrado politiche che non si interrogano sul senso di questa nuova soggettività.
Città invase per ascoltare e riconoscere la parola delle donne che non si è mai zittita, a partire da quella pronunciata da coloro che per prime hanno smascherato il “ciarpame politico” e le perversioni del “sultano”, e di quelle, innumerevoli, che in tanti modi e ogni giorno esercitano la propria autonomia di giudizio, tengono insieme tutto: fatica, desideri, competenze professionali e di cura, conflitti.
Città invase per rendere trasparente, contro l’ipocrisia dilagante, il legame tra le notti di Arcore e i giorni dei palazzi del potere. Merce diversa per un medesimo incastro: benefici e carriere politiche in cambio di subordinazione e fedeltà. Per donne e uomini.
Città invase perché se le “male ragazze consenzienti“ sollecitano vecchi e nuovi interrogativi, i vecchi signori che con denaro e potere usano il loro corpo provocano la certezza della ripulsa.
Città invase per ricominciare a parlare di sessualità, in primis quella dei tanti uomini intrappolati nello scambio sesso-denaro-potere.
Città invase per dire basta. Basta contro questo governo e questo premier, basta contro la mercificazione delle donne ma anche contro l'avvilimento di tutto il paese. Basta gridato da tutte, le giovani e meno giovani, le attrici e le disoccupate, le studentesse e le sindacaliste, le suore e le immigrate, le casalinghe e le donne delle istituzioni, facce note ma soprattutto ignote, donne tutte belle finalmente, belle per la passione, e l'indignazione, e l'irruenza, e la coscienza di sé, dei propri diritti espropriati e derisi: e uomini, tanti, finalmente consci che il basta delle donne poteva avere, ed ha avuto, un suono più alto, più felice, più coraggioso, da cui ripartire per cambiare finalmente lo stato del paese.
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