
Molti hanno ricordato che Mario Monti, senatore a vita, è tra i pochi italiani che il posto ce l’ha ben più che fisso: diciamo eterno.
Ma il punto è un altro: è questo precipitar suo e dei suoi ministri nella battuta, nel lazzo, nel paradosso, tanto più fastidiosi in un paese che ha appena festeggiato, con l’Istat, il record negativo di disoccupazione giovanile (31 per cento), con tre milioni stabili di disoccupati e un tasso di occupazione sulla popolazione attiva che è scivolato al 56 per cento (vuol dire che 22 milioni di italiani lavorano anche per mantenere 40 milioni di italiani inattivi).
Non vorrei che passasse l’idea che solo alla politica si chiede responsabilità di gesti e di verbi, mentre ai governi tecnici si offre indulgenza piena ogni volta che aprono bocca.
Per esempio il viceministro Michel Martone col suo facile scherno per i giovanotti che non si sono ancora laureati a ventotto anni. Dimenticandosi che per ogni studente non proprio ricco di famiglia che s’industria a studiare e a lavorare per pagarsi l’università c’è sempre un figlio di papà come il suddetto Michel che in tre anni viene promosso da ricercatore a professore ordinario. Sospettiamo non solo per meriti acquisiti sul campo.
Nelle battute un po’ grevi, nel modo tranchant con cui si liquidano diritti per capricci (ancora con questo articolo 18!), in una certa inaspettata vanità televisiva, il governo Monti più che un esecutivo di tecnici sembra un sinedrio di aristocratici che stanno al paese reale come le brioches di Maria Antonietta stavano alla fame della plebe di Francia.
L’argomento più persuasivo di chi, dall’alto, invoca la rottamazione dell’articolo 18 è la presunzione che libertà di licenziare vorrà dire libertà di assumere.
Non esiste un solo precedente, nella storia dell’illuminata industria italiana, in cui la flessibilità nel mercato del lavoro abbia portato a un più alto senso di responsabilità delle imprese.
Non esiste una sola buona ragione per pensare che le imprese, una volta libere di licenziare, si compiaceranno anche di assumere.
Non esiste una sola pausa di riflessione sul fatto che le aziende sottoposte alla disciplina dell’articolo 18 sono quelle con più di quindici dipendenti, cioè appena il 5 per cento delle aziende italiane.
Se c’è un approccio ideologico, più che nella difesa noiosa del posto fisso sta nella noia di questo mantra liberista per un mercato senza vincoli e per un lavoro senza garanzie.
L’articolo 18 è un principio, non un tabù. Riafferma il valore del lavoro su cui la Costituzione fonda il senso della nostra repubblica. Cancellare quell’articolo vuol dire, di fatto, uscire dallo spirito della Costituzione.
Le misure sociali che questo governo ha già realizzato e che propone per il futuro sono faticose per molti italiani. Che una sola cosa chiedono, non alle competenze tecniche dei ministri ma alla loro buona educazione: risparmino almeno le loro battute. Non fanno ridere.
Claudio Fava
Rispetto l'acuta osservazione di Fava, una persona coerente, mi chiedo in questa appassionata lettera se la sua posizione assieme a quella di Vendola nel passato a quanto abbiano contribuito alla demolizione dell'esperienza del centrosinistra di Romano Prodi.
RispondiEliminaFacile criticare, ma quando si è al governo del paese?
Monti meglio di Berlusconi?sicuramente meno peggio, ma almeno siamo tornati come italiani a farci rispettare in Europa e nel mondo.
Il Times, parla di Monti come l'uomo che forse salverà anche l'Europa? incredibile , fino qualche mese fa eravamo la macchietta dei bunga-bunga.
Questione morale? non è mai stata solo a destra ma anche a sinistra, o centro-sinistra. Ne parlava Berlinguer 30 anni fa....
Siamo un paese che ha avuto e che forse ha ancora, troppi mafiosi, corrotti e imbonitori.
Ci vuole una RIFONDAZIONE MORALE.
Ma quella sembra una mission impossibile.
I nuovi ministri di Monti?
Alcuni si sono già qualificati come banchieri reazionari e figli di papà con la puzza sotto il naso, altri invece sono delle ottime persone.